Altra musica, quando si deve uscire di casa, abbandonare le trincee, imboccare un sentiero. In una parola: fare gioco. Per tutti, sia chiaro. E’ quello che è successo alla Juventus dopo Firenze. Il Cagliari di Ranieri, l’allenatore della favola Leicester, si è chiuso, sì, ma neppure troppo. Uscito dalla crisi, ha aspettato ed è ripartito, con Viola all’occhiello (per un tempo, almeno) e Luvumbo «lambretta» sulla fascia.
Di fronte a Sua maestà Djokovic, il risultato l’hanno scolpito quelle che a Coverciano, in spregio alle signore, chiamano «palle inattive». Punizione di Kostic, testa di Bremer. Corner di Kostic, petto e ri-petto di Rugani. Angolo di Jankto e crapa di Dossena, con Szczesny un po’ così (ma poi reattivo, complice il palo, sull’ennesima incornata dello stopperone sardo).
Tutto nella ripresa. La fetta più gustosa della torta, anche grazie ai cambi (Oristanio, Shomurodov). Per metà gara, zero tiri nello specchio. Degli uni e degli altri. Una mosceria che non vi dico, culminata nello stop «a inseguire» con il quale Kean dilapidava una chicca di Chiesa. Poi un po’ più di cazzimma, e Chiesa «libero d’attacco» ad agitare la curva. Già il centrocampo non brilla per gamma di varianti, metteteci il mal di schiena di Locatelli, togliete McKennie dalla fascia e avrete lo spirito dello Stadium.
Hanno deciso e segnato i difensori. Kean è il classico pugile che non andrà mai al tappeto ma difficilmente ne manderà qualcuno. Gli ingressi di Vlahovic e Milik non hanno scombinato la trama. Non mi è dispiaciuto Iling Junior in un ruolo non suo (quale? boh). Il 2-0 aveva dato gas a Madama, il 2-1 glielo ha tolto. Dicesi fifa. Lapadula e Pavoletti volteggiavano nei mischioni. Ricapitolando: per attaccare, la Juventus ha attaccato.
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